Pubblicato in: Esercizi di scrittura, Racconti, Writing Prompt

Dimenticare, ricominciare

«Grazie per il tuo lavoro. Adesso puoi riposare.» il colonnello la salutò dall’altro lato del vetro, la mano vicina alla tempia e la schiena dritta, non sapeva se la stava fissando dietro quegli occhiali scuri, ma si augurò che fosse così e che vedesse tutto il suo odio. Avrebbe voluto dimenarsi e rompere quei ganci di metallo che le stringevano le caviglie e i polsi, ma sapeva che sarebbe stato tutto inutile, non era la prima volta che si trovava in quella posizione, conosceva bene l’infermeria, così loro chiamavano quella stanza delle torture dalla pareti spoglie.

Adesso puoi riposare, quelle parole continuavano a riecheggiarle in testa, era una frase del cazzo, solo un modo per dire che non serviva più alla Federazione e che era arrivato il momento di buttarla via, all’improvviso, proprio come quando l’avevano presa.

Sentì una puntura sul braccio destro. Ecco che iniziava.

L’effetto fu quasi immediato, le palpebre cominciarono a diventare pesanti e gli arti ad intorpidirsi, nonostante il sonno la stesse avvolgendo, decise che non avrebbe staccato gli occhi dalla faccia del colonnello, fino all’ultimo avrebbe cercato di imprimere nei suoi pensieri il ricordo del suo disprezzo verso lui e tutti quegli stronzi della Federazione.

Fanculo, pensai prima di sprofondare nel nulla profondo.

Riaprì gli occhi all’improvviso, consapevole di non trovarsi più nell’infermeria. Il materasso sotto su cui era sdraiata era troppo morbido e le lenzuola troppo spesse e profumate. Un veloce sguardo abbracciò tutta la stanza, c’era molto su cui avrebbe potuto soffermarsi, come la scrivania su cui poggiava un computer che ai suoi occhi sembrava d’antiquariato, o lo zaino azzurro confetto con la stampa di un unicorno dalla criniera arcobaleno, ma il suo interesse fu subito catturato dalle foto appese alla parete di fronte al letto. Tante cornici di diverse dimensioni mostravano il volto ridente di una bambina dai lunghi capelli castani, in alcune due adulti sorridevano con lei, in altre erano mostrate solo scene di vita quotidiana immortalate su pellicola.

Non seppe dire per quanto tempo rimase sdraiata senza muovere un muscolo, ma quando decise di alzarsi la luce pallida della luna era stata presto sostituita dai primi raggi del sole mattutino. Si sedette sul bordo del letto, gli occhi ancora fissi sulle pareti, non aveva avuto ancora il coraggio di guardare il suo corpo, ma sapeva che sarebbe stata solo questione di tempo prima di essere costretta a farlo. Quindi si alzò e senza fare caso al freddo pavimento sotto i suoi piedi si diresse verso lo specchio a parete in un angolo della stanza.

Il riflesso le trasmise una strana sensazione. Sapeva per logica che quel corpo che vedeva era il suo, ma non riusciva a elaborare il fatto che quella fosse effettivamente lei. I capelli che portava molto corti da anni erano lunghi e castani, scompigliati dalla notte appena passata, gli occhi marroni sembravano così grandi e luminosi in quel viso paffuto che pensava di aver dimenticato. Le mani erano piccole e morbide, completamente lisce e senza cicatrici, così come il resto del suo corpo. Sentiva di star scoprendo man mano un corpo nuovo che non pensava poter essere il suo, ma quando arrivò alle gambe la sorpresa lasciò il posto ad una strana disperazione. Le sue gambe erano lì, entrambe, lunghe e paffute, lisce e senza fili o ingranaggi a muoverle.

È finita.

Il pensiero le attraversò la testa come un fulmine, schiantandosi nel suo subconscio che ancora faticava a credere alla realtà che stava vivendo.

Ma invece che esserne felice, il peso di tutti quegli anni le si abbatté addosso. Il rapimento, l’addestramento, la guerra, le ferite, Kit, Sheeda, tutta la sua squadra, chi era morto e chi era sopravvissuto e soprattutto Heani, la sua Heani che non avrebbe mai saputo che lei era ancora viva.

Le gambe cedettero e colpirono il pavimento piastrellato con un suono sordo, le lacrime scendevano inarrestabili dai suoi occhi, mentre altri ricordi si affollavano nella sua testa, Era tutto finito ed era tornata a casa, alla sua pacifica vita di bambina di sei anni che non dovrebbe sapere nulla di guerre e morti, come poteva un corpo così piccolo e fragile sopportare tutti quei ricordi e quelle emozioni? Voleva urlare, spaccare tutto e scappare lontano, tornare da Heani che conosceva e condivideva il suo passato. Ma non fece nulla, non poteva fare nulla, non le rimaneva nulla. Poteva solo fingere di essere una normale bambina, ma cosa ne sapeva lei di come di com’è una normale bambina?

Un bussare stanco interruppe i suoi pensieri, si voltò verso la porta della camera e sentì la voce di un uomo chiamarla «Tesoro, svegliati, è ora di andare a scuola.»


Da un prompt consigliato su Reddit.

They stole you from your world when you were but a young girl, and they forged you into a magical weapon that has been feared across the cosmos. Now that the war is over and you’ve won, they send you back to the moment before they captured you. The skills, PTSD, and memories? Those never fade.

Pubblicato in: Letture, Manga

Witch Hat Atelier

Attenzione spoiler

Autore: Kamome Shirahama

Anno di pubblicazione: 2017 (Giappone), 2019 (Italia)

Volumi: 11 (in corso)

Editori: Kodansha (Giappone), Panini Comics (Italia)


Coco è una bambina che ama la magia e vorrebbe tanto praticarla, ma, come dice sua madre, solo le persone nate con poteri magici possono farlo. Questo stronca fin da subito i sogni della bambina, almeno finché non arriva nel villaggio un mago di nome Qifrey.


La prima cosa che colpisce di Witch Hat Atlier sono sicuramente le illustrazioni; precise, dettagliate, che spiccano rispetto ad altri manga, con un tratto più occidentaleggiante che ricalca i libri illustrati per bambini. Ma non sono solo le illustrazione dei singoli personaggi o dei paesaggi a colpire, Shirahama presta una particolare attenzione alla composizione delle tavole, sperimentando con la disposizione delle singole vignette e la decorazione delle stesse. In particolare sono le scene riguardanti la storia della magia ad essere incorniciate da intricate decorazioni e il cui stile interno cambia sostanzialmente, per meglio sottolineare la differenza con il resto della trama.

L’idea dietro al world building di Witch Har Atelier non è particolarmente originale nel suo concetto di base, ma nella sua costruzione risulta molto interessante, soprattutto nella visione che ne hanno i vari personaggi. Infatti, per quanto inizialmente la trama sembri muoversi su binari lineari in modo simile a molti manga dello stesso genere, appare presto chiaro che nonostante la protagonista sia una bambina, viene dato ampi spazio a momenti più crudi colmi di dubbi e disperazione. Ad esempio, nell’arco narrativo in corso al momento della scrittura di questo articolo, si pone molta attenzione sulle differenze tra i maghi e le persone normali e su come le leggi che sono state imposte per difendere la pace sembrino “stare strette” a questi bambini che vogliono soltanto vivere davvero per l’ideale dell’aiutare gli altri. Le guerre hanno portato a misure drastiche e leggi severe, che Coco, insieme al lettore, inizialmente condivide, ma che con il passare del tempo portano a galla le grandi falle e i limiti che vengono imposti.

I personaggi sono ben caratterizzati e ad ognuno viene dato un suo spazio per mostrarsi ed evolversi, con particolare attenzione, ovviamente, alle bambine e a Qifrey, sia nel loro carattere che nel loro aspetto esteriore, mai scontato, nemmeno negli abiti.

Sarebbe difficile al momento trovare qualcosa di davvero negativo da dire su questo manga, forse il fatto che non sia ancora concluso non aiuta per un’analisi approfondita, ma questa sarà una discussione per i volumi a venire.


Concludo dicendo soltanto che voglio assolutamente un artbook di questo manga, davvero mi sono innamorata di ogni singola pagina e illustrazione, ogni tavola è un quadro bellissimo.

Pubblicato in: Racconti

Nella coda dell’occhio

Ti sei mai accorto di quelle ombre nella coda dell’occhio?

Hai mai sentito quel brivido improvviso sulla pelle senza motivo?

Ti è mai capitato di sentirti osservato quando tutti sono lontano?

Forse i mostri esistono veramente.

Forse hanno un aspetto aberrante,

per questo nel buio sono celati

li senti soltanto come lontani ululati

Li ignori, li temi, li cerchi,

dormi con l’ansia che qualcosa ti aspetti.

Non sai mai se sono accanto a te

o se sotto il letto qualcosa c’è.

Solo con la coda dell’occhio l’ombra si vede,

ma mai puoi sapere chi sono le loro prede.


L’idea è arrivata da alcune ombre che sto vedendo nell’ultimo periodo con appunto la coda dell’occhio… si, devo fare una visita oculistica.

E non so cosa pensare su quello che ho scritto, se mi piaccia o no, ma intanto eccolo qua.

Pubblicato in: Letture, Romanzi

Arsène Lupin, ladro gentiluomo

Autore: Maurice Leblanc

Anno di pubblicazione: 1905-1907 (Francia), 1910 (Italia)

Volumi: 1

Editori: Je Sais Tout (Francia), Corriere della sera (Italia)


Lo ammetto, mi sono interessata ad Arsène Lupin perché ho giocato a Persona 5 e lì le citazioni a Leblanc si sprecano.


Arsène Lupin è un geniale ladro famoso in tutto il mondo per la sua infallibilità e le sue molteplici identità, così quando si viene a sapere che probabilmente si è imbarcato sul transatlantico Provence, la curiosità e il timore si impadronisce di tutti i viaggiatori. In questo modo iniziano le avventure di Lupin, ladro gentiluomo, che si mostra in tutta la sua eleganza ed ironia ai lettori in nove brevi racconti.


Di Lupin non si sa nulla, non il suo passato, né il vero nome e addirittura il suo vero volto. Ma non è il mistero che tiene incollati i lettori da decenni, anzi in realtà questo è solo una minima parte del fascino di questi racconti, infatti in molti non è difficile riuscire a capire abbastanza in fretta chi dei personaggi sia Lupin; ciò che affascina è l’ironia del protagonista e la sua incredibile autostima, che risiede nella conoscenza delle più disparate discipline, e il suo particolare approccio ad ogni situazione, sia questa mondana o criminale. Lupin ha gusto per preziosi gioielli, mobili e dipinti dal grande valore e tesori difficili da rubare, ogni avventura è vissuta da lui a volte come una sfida e a volte come un gioco, intervallata da amicizie superficiali e profondi amori.

Tuttavia, se il personaggio di Lupin è così affascinante da portare il lettore a tifare per lui, gli altri personaggi mancano di caratterizzazione e sono solo un contorno delle avventure del ladro, senza personalità e con l’unico scopo di rendere possibili piani altrimenti irrealizzabili nella nostra realtà. Un po’ più di caratterizzazione viene concessa all’ispettore Ganimard durante le sue comparse, ma non abbastanza da poterlo considerare un personaggio ben caratterizzato.

I racconti di questa prima raccolta hanno una qualità altalenante, a volte associata al livello di sospensione dell’incredulità a cui il lettore viene costretto, lo stesso Leblanc, nella lettera che si trova alla fine del libro, scrive come anche al capo della Sûreté probabilmente la fuga di Lupin sia sembrata troppo irrealistica. Nonostante questo il fascino suscitato dagli strani piani di Lupin riescono a interessare e intrattenere e sfidano il lettore ad intuirli prima della spiegazione finale.


Come molti ragazzi della mia età, ho conosciuto Lupin con l’anime Lupin III e solo dopo ho scoperto del ladro gentiluomo. Leggere le sue avventure che così tanto si discostano da ladro imbranato e spassoso che conoscevo, è stato interessante e si, anche divertente; penso che nel mio cuore rimarrà sempre la frase:

Arsène Lupin, il fantasioso gentiluomo attivo solo nei castelli e nei saloni delle ville più fastose, colui che una notte era penetrato in casa del barone Schormann, ma ne era uscito a mani vuote lasciando il proprio biglietto da visita, con su scritto: “Arsène Lupin, ladro gentiluomo, tornerà quando i mobili saranno autentici”.

Pubblicato in: Letture, Manga, Romanzi

Lei e il suo gatto

Autore: Nagakawa Naruki, Shinkai Makoto

Anno di pubblicazione: 2013 (Giappone), 2022 (Italia)

Volumi: 1

Editori: Kanzen Corp (Giappone), Einaudi (Italia)


La prima cosa che mi ha attirato di questo libro è stato il gatto in copertina, solo dopo averlo acquistato ho notato che il soggetto era di Makoto Shinkai, quindi con una piccola ricerca ho scoperto che questo è un adattamento di un piccolo cortometraggio ed esiste anche il manga.


Autore: Tsubasa Yamaguchi, Shinkai Makoto

Anno di pubblicazione: 2016 (Giappone), 2018 (Italia)

Volumi: 1

Editori: Kodansha (Giappone), Dynit (Italia)


Lei e il suo gatto è diviso in quattro parti, ognuna dedicata ad un gatto diverso e alla sua padrona. La prima parte vede come protagonisti Chobi e Miyu, che si incontrano in un triste giorno di pioggia. Crescendo Chobi diventa più forte e inizia a girovagare per il quartiere dove incontra Mimi, una gattina rigettata dai suoi padroni perché debole, ma che ha imparato a badare a se stessa e ha iniziato a fare tappa fissa a casa dell’artista Reina. Quando Mimi rimane incinta tutti i suoi cuccioli vanno in affidamento tranne Cookie, che si rivela inizialmente debole come la madre, ma ben presto anche lei trova casa con la giovane Aoi, rinchiusasi in casa da più di un anno. Il quartiere dove si svolgono queste vicende è supervisionato dal vecchio Kuro, un gattone che si ritrova suo malgrado a prendersi cura di Shino sotto richiesta dell’amico John.


Riguardo il libro

Un pregio di questo libro è sicuramente la fluidità con cui ogni storia si collega all’altra, i diversi modi in cui i gatti e gli umani si conoscono risulta molto naturale dato il contesto di (quello che ho capito fosse) un quartiere unico.

Edizione giapponese

La narrazione si muove su due diversi punti di vista, quello degli umani e quello dei gatti, ognuno caratterizzato da una diversa visione del mondo e delle vicende, soprattutto da parte dei felini, che spesso, come è molto evidente nel personaggio di Kuro, interpretano tutto secondo la loro visione animale.

La lettura è abbastanza scorrevole, ma lo stile forse pecca troppo di semplicità; ci sono molti discorsi diretti e le sezioni descrittive sono poco approfondite, preferendo dare solo informazioni generiche e soffermandosi sui pensieri dei protagonisti, ma senza mai dilungarsi troppo nella loro esposizione.

Edizione spagnola

Come Il cane che guarda le stelle, anche qua si parla molto di rapporto tra padrone e animale domestico e di come questi si salvino a vicenda, ma il tutto è raccontato in modo profondamente diverso. La più grande differenza sicuramente la nota più positiva e speranzosa con cui si conclude il libro, con parole d’amore per questo mondo; un’altra è nell’attenzione che viene data alla vita al di fuori del rapporto umano-gatto, che racconta e giustifica i pensieri e i comportamenti delle padrone in modo più pratico che delicato e appassionato.

Lei e il suo gatto non spicca per originalità, eliminare le sezioni dedicate ai gatti senza intaccare la narrazione sarebbe semplice, tutto scorerebbe tranquillamente, al contrario de Il cane che guarda le stelle, in cui le vicende di cani e padroni sono strettamente intrecciate. Nonostante questo è una lettura piacevole e leggera, indicata soprattutto per chi ama i gatti.


Riguardo il manga

La storia del manga, come anche quella del cortometraggio originale, si concentra solamente sulle vicende di Chobi e Miyu, con una veloce apparizione di Mimi come fidanzata felina.

Pur raccontando una storia diversa, il manga lascia comunque che a guidare sia la stessa atmosfera di tristezza e amore di Chobi verso la sua umana, e lo fa anche meglio. Se il libro pone attenzione al punto di vista umano e alla narrazione della vita di Miyu, il manga è, invece, raccontato soltanto dal punto di vista di Chobi, che commenta le vicende esprimendo in continuazione il suo amore cieco attraverso le parole (i miagolii) e i piccoli gesti felini, come l’accoglierla al rientro da casa, sdraiarsi al suo fianco o, un momento che ho davvero apprezzato, cercandola per strada quando non la vede rientrare in casa. L’equilibrio tra il punto di vista del gatto e le vicende dell’umana è ottimo, lasciando che queste ultime vengano intuite e non raccontate interamente.

Inoltre, nel manga la presenza di Chobi al fianco di Miyu sembra più fondamentale per quest’ultima, rendendo palese il fatto che l’abbia effettivamente salvata e a modo suo incoraggiata.

Le illustrazioni sono opera di Yamaguchi, autore anche di Blue Period, il suo stile inconfondibile si nota soprattutto nella dinamicità in ogni vignetta. Basta infatti guardare una qualsiasi tavola per notare come ogni personaggio, anche se sembra immobile, in realtà esprima un senso di movimento incredibilmente realistico; dalla posizione degli arti, a quella dei vestiti, fino alla singola ciocca di capelli, tutto sembra dire che che il disegno è vivo e il personaggio si sta effettivamente muovendo. Un’attenzione particolare va sicuramente alle splash page incredibilmente dettagliate il cui spazio sembra suddiviso alla perfezione.

Unica nota negativa in questo caso, sono alcuni momenti in cui gli occhi o altri tratti del viso sembrano un po’ “storti”.

In generale penso che il manga sia riuscito meglio a esprimere e trasporre la storia di Shinkai.


Giusto se non si fosse capito, ho preferito il manga, ma nonostante questo il libro è comunque molto valido, soprattutto nella prima parte, quella di Chobi e Miyu. E credo di essermi innamorata del nome Chobi, lo userò in futuro!

Di seguito il cortometraggio originale di Shinkai, davvero breve e carino.

Pubblicato in: Pareri non richiesti

L’ossessione del catalogare

Io ho un account su Goodreads.

Un account su MyAnimeList.

Un account su AnimeClick

Un account su TV Time.

Ho anche un Book Journal e da quest’anno un’agenda in cui ho segnato le cose da leggere per il 2023.

Non so perché ho questa strana ossessione (si può chiamare così?) per catalogare ogni cosa che leggo o guardo, ma sicuramente ricordo che anche da piccola ero così, per un buon periodo di tempo ho segnato su quaderno tutti i libri che leggevo, con le linee delle tabelle tracciate a matita e i titoli scritti con la penna rossa. Quando stavo dai miei e avevo ancora pochi manga e libri li ordinavo secondo autore, genere e dimensione.

Più ci penso e più credo che sia una sorta di voglia inconscia di dimostrare a me stessa che sto andando avanti, che sto facendo qualcosa e progredendo nelle mie passioni. Poi quest’anno ho iniziato ad usare un’agenda, ma ci ho messo settimane a sceglierne una che mi piacesse perché volevo che avesse per ogni mese una pagina dedicata agli obiettivi e, ovviamente, che ci fossero sezioni dedicate ai progetti per il nuovo anno e alle spese, tutta roba che serve appunto a catalogare.

Negli ultimi anni ho sentito la mia vita sfuggire al mio controllo sotto molti punti di vista che non starò qua a raccontare, e voglio semplicemente rimettere ordine a tutto, vivere qualche mese con una quotidianità confortante, ma che al tempo stesso mi porti avanti verso i miei obiettivi. Vorrei poter fermare tutto per qualche giorno e rimettere in ordine ogni pezzo, pensare “ok, adesso so da dove cominciare” e poi andare avanti.

Vorrei trasformare la mia vita in una serie di liste ordinate da spuntare man mano che vado avanti, vorrei raggiungere un obiettivo dopo l’altro e se non dovessi riuscirci pensare che ho fatto tutto ciò che potevo ed essere comunque soddisfatta.

Tutto questo solo per dire che mi piace catalogare le cose

Pubblicato in: Letture, Manga

Il cane che guarda le stelle

Autore:  Takashi Murakami

Anno di pubblicazione: 2008-2009 (Giappone), 2015-2017 (Italia)

Volumi: 2

Editori: Futabasha (Giappone), J-pop (Italia)


Ho preso questo manga in libreria aspettandomi una storia carina e leggera che parla di cani. Quando ho finito di leggere i due volumi ho pianto tutte le mie lacrime.


Happy è ancora un cucciolo quando viene salvato da Miku, una bambina che inizia a prendersi cura di lui con sua mamma e suo papà. Happy vive felice con la sua nuova famiglia, finché si ritrova a viaggiare in macchina con papà lontano da casa. La vicenda si snoda tra i pensieri di Happy e il suo rapporto con papà e le loro piccole avventure lungo il viaggio.

Il secondo volume “racconti” mostra il destino del fratello di Happy, salvato da una vecchia signora scorbutica, e di Tetsuo, già apparso nel precedente manga, e della sua fuga da casa per ritornare dal nonno.


Ci sono tante storie che parlano di cani, ma è difficile raccontarne una che alla fine non risulti patetica e stereotipata nel suo voler far commuovere per forza. Il cane che guarda le stelle vuole solo raccontare una storia che parla di amore e lo fa utilizzando il punto di vista del cane stesso, che risulta estremamente puro e innocente in contrasto alle tristi vicende del suo “papà”. Una nota particolare va all’ultimo capitolo del primo volume e alla storia di Okutsu, che racconta di un rapporto diverso tra cane e padrone, che si sviluppa in poche pagine tra dolore e senso di colpa.

Ma se il primo volume inizia e finisce con una nota tragica, il secondo racconta delle storie più felici di personaggi che abbiamo solo intravisto precedentemente e, questa volta, dà loro un lieto fine. Permettendo a quei cani che “guardano le stelle” di raggiungere i loro sogni semplici di avere una famiglia e qualcuno che li ama.

Lo stile di Murakami è semplice, caratterizzato da linee sottili che sembrano incerte, non spicca particolarmente in mezzo ad altri manga dalle illustrazioni più “pulite”, ma riesce a trasmettere con pochi tratti le emozioni di ogni personaggio, umano o animale. Nelle pagine non c’è un ampio stravolgimento della griglia delle tavole e le splash page sono praticamente assenti, sono invece molto presenti primi piani dei personaggi e una particolare cura nei dettagli. Ma l’attenzione principale viene data comunque alla trama.

Si potrebbe parlare di una storia che insegna a vivere e altri paroloni del caso, ma non riesco a vederla in questo modo, Murakami ha solo voluto raccontare dell’amore che i cani sentono per i loro padroni, della loro lealtà e di come loro possano essere un’ancora di salvezza nella vita di chi li incontra.


Lei è Kira, era il cane del mio ragazzo. Mi manca.

Io non amo particolarmente i cani, solitamente preferisco i gatti, ma conosco persone vicine a me che ne hanno avuti e li hanno persi, ho visto da vicino quanto sia dura e l’ho provato con i miei gatti. Murakami è riuscito a replicare fedelmente la felicità e il dolore che si provano nell’avere e perdere un cane (o più in generale un animale domestico) e credo che questo sia il vero punto forte di questa storia.

Il racconto che più ho apprezzato è sicuramente il primo del secondo volume, ma mio malgrado quello che più mi ha colpito al cuore è stato l’ultimo capitolo del primo volume, non penso smetterò mai di provare un grande senso di colpa verso il mio vecchio gatto.

Pubblicato in: Racconti

Shatter Me

Da che ho memoria ho sempre danzato.

Ho sempre indossato queste scarpette bianche, questo vestito di tulle rosa. I capelli sono sempre rimasti perfettamente legati sopra la mia testa, senza che nemmeno una ciocca sfuggisse mai allo chignon.

Su questo piedistallo danzo ogni giorno mentre vedo tutto il mondo attorno a me andare avanti. E io rimango sempre la stessa, le braccia sopra la testa e una gamba piegata, un sorriso dolce dipinto sul mio viso.

Ci sono giorni in cui dico che tutto va bene, in cui mi sento felice di poter danzare in questa piccola sfera di vetro, ma altre volte pensieri che non riesco a cacciare via invadono la mia mente. La solitudine prende il sopravvento, mi divora dall’interno e mi rende rancorosa verso me stessa, verso gli altri, verso il mondo intero.

Perché tutti scelgono qualcos’altro?

Alcuni mi osservano danzare, mentre la musica allegra esce dal vecchio carillon; altri non mi guardano nemmeno; e qualcuno vede solo la piccola scheggia sul mio corpo e volta lo sguardo. Ho visto altre come me andare avanti, essere scelte, una dopo l’altra, sorridere mentre qualcuno le osservava affascinato e io rimanevo sempre più indietro e sola.

Non sono abbastanza.

Devo danzare di più, sorridere di più, tenere le gambe più dritte e le braccia più in alto. Devo essere perfetta così che nessuno guardi a quella scheggia. Posso nasconderla, fare in modo che non sia visibile, ma se si guarda da vicino si può ancora vedere.

Vi prego, guardatemi. Datemi una possibilità. Io voglio danzare. Voglio che qualcuno mi guardi affascinato, voglio che qualcuno riconosca le mie capacità e mi dica che sono brava. Voglio che qualcuno veda il mio corpo imperfetto e pensi che sono bella comunque.

Io voglio danzare per qualcuno.

Non mi basta più danzare per me stessa, osservare il mio riflesso nel vetro e dirmi che sono brava. Chi mai crederebbe a se stessa? Ma quando scende il buio mi ritrovo ancora sola sul freddo piedistallo bianco. Quante volte ho sognato di scendere e cambiare la mia melodia, di fare quel passo avanti che può cambiare tutto.

Vedo il mondo attraverso il vetro e sogno qualcosa che non sarà mai mio, perché ho paura. Di fallire, di farmi male, di provare a danzare lontano da qui e cadere rovinosamente a terra. Desidero che il vetro si infranga, ma ho paura di farlo e di sapere cosa mi aspetta dall’altra parte.

Qualcuno infranga il vetro.

E mi faccia sentire viva.

Qualcuno accenda una luce.

E mi faccia danzare.


Racconto ispirato da “Shatter Me” di Lindsey Stirling

Pubblicato in: Racconti

Mia sorella (Parte 2)

Parte 1


Fu durante un venerdì di scuola che in classe si sentì un bussare leggero e la porta si aprì lentamente. Il bidello entrò con uno sguardo sconvolto e sotto gli occhi incuriositi di tutti noi bambini e della maestra chiese a quest’ultima di raggiungerlo fuori per una questione urgente. I due rimasero fuori per una decina di minuti per poi riapparire sulla soglia della classe. Ora la maestra aveva lo stesso sguardo del bidello e in più i suoi occhi sembravano luccicare; chiamò il mio nome, dicendomi di preparare lo zaino, mio nonno era venuto a prendermi.

Saltai giù dalla sedia tutto contento e sorridendo ai miei compagni che dovevano rimanere in classe per altre tre ore. Non era mai successo che qualcuno venisse a prendermi prima da scuola, ma in quel momento mi importava poco, avrei chiesto spiegazioni più tardi. Trotterellai fuori dalla classe accompagnato dal bidello fino all’ampio ingresso della scuola, là mi aspettava mio nonno; indossava la sua solita camicia bianca a maniche corte, ma stranamente non era infilata dentro i pantaloni, lo guardai in viso e vidi che il labbro inferiore gli tremava, balbettò quando salutò il bidello.

Entrammo nella vecchia Panda che odorava di vino e terra bagnata, ma prima di partire il nonno prese due profondi respiri, le mani gli tremavano strette al volante che stringeva tanto che potevo vedere la pelle macchiata diventare bianca sulle nocche. Altri due respiri e partimmo. Gli chiesi come mai fosse venuto a prendermi, ma lui non disse nulla nonostante la mia insistenza. Quando eravamo circa a metà strada mi accorsi che non stavamo andando a casa, ma dalla nonna materna.

Quando arrivammo vidi che la nonna mi aspettava sulla soglia della vecchia casa con in braccio mia sorella, alzai gli occhi al cielo, ma la salutai comunque con due baci sulle guance. Anche mia nonna aveva lo stesso sguardo del bidello. Chiesi perché il nonno mi fosse venuto a prendere e perché mi trovassi lì, ma lei si limitò a dirmi che avrei dormito da lei per qualche giorno. Sorrisi, adoravo dormire dalla nonna, mi svegliava ogni mattina con una tazza di te caldo e un pezzo di pane con la Nutella.

Così passai lì l’intera giornata e quella successiva, fortunatamente era sabato quindi non avevo scuola; vidi solo mia nonna e mio nonno e sentii mia mamma per telefono prima di andare a dormire. La telefonata fu breve, non sentivo chiaramente le sue parole e pensai che forse il telefono non prendesse bene, ma distinsi chiaramente le parole “vi voglio bene”.

La domenica mi dissero tutto. La mamma arrivò la mattina presto e quando andai a fare colazione la trovai seduta al tavolo della cucina con mia nonna e mio nonno.

Dei giorni successivi ricordo poco.

Ricordo che all’inizio ero confuso, poi iniziai a piangere e lo feci per molto tempo, la mamma mi abbracciava spesso e anche i nonni. Piangevamo tutti, tranne Celeste che dormiva nella sua culla.

Poi ricordo di aver visto mio papà con gli occhi chiusi e di avergli dato un bacio sulla guancia, era freddissima.

Della Chiesa non ho alcun ricordo, credo di essermi addormentato sulle gambe del nonno e poi mi sono svegliato a casa nel mio letto. Celeste piangeva, e nessuno veniva in camera per calmarla. Prima misi la testa sotto il cuscino per non sentirla più, ma non bastava, il suo pianto era il più forte e fastidioso che avessi mai ascoltato. Mi decisi allora ad alzarmi, sentivo il corpo mollo e poca forza in tutti gli arti, ma feci quei pochi passi fino alla culla dall’altra parte della stanza.

Celeste si muoveva freneticamente, le braccia alzate in alto che sembravano voler afferrare qualcosa, le gambe che calciavano il nulla e gli occhi chiusi. La presi in braccio come mi aveva insegnato la mamma e mi sedetti ai piedi del letto mentre la cullavo pregando che smettesse di piangere. Ci volle un po’, ma alla fine si addormentò.

La guardai, e per la prima volta da quando era nata nel suo volto vidi me stesso e i miei genitori. Era mia sorella. La mia piccola sorellina, che non avrebbe mai conosciuto papà, non si sarebbe mai sdraiata sul divano con lui a guardare un film, non sarebbe mai andata a comprare lo zaino nuovo con lui, non l’avrebbe pregato di comprare quelle merendine al supermercato, e non si sarebbe fatta rimproverare per aver rotto un giocattolo. In quel momento fui io a piangere, sommessamente, mentre la stringevo tra le braccia. Capii che io avrei fatto quelle cose con lei. La mamma si sarebbe occupata del resto e anche i nonni, ma io avrei avuto quel compito, non farla sentire sola come mi sentivo io in quell’istante. L’avrei accompagnata in tutti quei momenti che io avevo vissuto con papà. E anche se ero solo un bambino, l’avrei protetta contro tutti e tutto, come mio papà avrebbe fatto. In quel momento capii che io ero il fratello maggiore e lei la mia piccola sorellina.