«Grazie per il tuo lavoro. Adesso puoi riposare.» il colonnello la salutò dall’altro lato del vetro, la mano vicina alla tempia e la schiena dritta, non sapeva se la stava fissando dietro quegli occhiali scuri, ma si augurò che fosse così e che vedesse tutto il suo odio. Avrebbe voluto dimenarsi e rompere quei ganci di metallo che le stringevano le caviglie e i polsi, ma sapeva che sarebbe stato tutto inutile, non era la prima volta che si trovava in quella posizione, conosceva bene l’infermeria, così loro chiamavano quella stanza delle torture dalla pareti spoglie.
Adesso puoi riposare, quelle parole continuavano a riecheggiarle in testa, era una frase del cazzo, solo un modo per dire che non serviva più alla Federazione e che era arrivato il momento di buttarla via, all’improvviso, proprio come quando l’avevano presa.
Sentì una puntura sul braccio destro. Ecco che iniziava.
L’effetto fu quasi immediato, le palpebre cominciarono a diventare pesanti e gli arti ad intorpidirsi, nonostante il sonno la stesse avvolgendo, decise che non avrebbe staccato gli occhi dalla faccia del colonnello, fino all’ultimo avrebbe cercato di imprimere nei suoi pensieri il ricordo del suo disprezzo verso lui e tutti quegli stronzi della Federazione.
Fanculo, pensai prima di sprofondare nel nulla profondo.
Riaprì gli occhi all’improvviso, consapevole di non trovarsi più nell’infermeria. Il materasso sotto su cui era sdraiata era troppo morbido e le lenzuola troppo spesse e profumate. Un veloce sguardo abbracciò tutta la stanza, c’era molto su cui avrebbe potuto soffermarsi, come la scrivania su cui poggiava un computer che ai suoi occhi sembrava d’antiquariato, o lo zaino azzurro confetto con la stampa di un unicorno dalla criniera arcobaleno, ma il suo interesse fu subito catturato dalle foto appese alla parete di fronte al letto. Tante cornici di diverse dimensioni mostravano il volto ridente di una bambina dai lunghi capelli castani, in alcune due adulti sorridevano con lei, in altre erano mostrate solo scene di vita quotidiana immortalate su pellicola.
Non seppe dire per quanto tempo rimase sdraiata senza muovere un muscolo, ma quando decise di alzarsi la luce pallida della luna era stata presto sostituita dai primi raggi del sole mattutino. Si sedette sul bordo del letto, gli occhi ancora fissi sulle pareti, non aveva avuto ancora il coraggio di guardare il suo corpo, ma sapeva che sarebbe stata solo questione di tempo prima di essere costretta a farlo. Quindi si alzò e senza fare caso al freddo pavimento sotto i suoi piedi si diresse verso lo specchio a parete in un angolo della stanza.
Il riflesso le trasmise una strana sensazione. Sapeva per logica che quel corpo che vedeva era il suo, ma non riusciva a elaborare il fatto che quella fosse effettivamente lei. I capelli che portava molto corti da anni erano lunghi e castani, scompigliati dalla notte appena passata, gli occhi marroni sembravano così grandi e luminosi in quel viso paffuto che pensava di aver dimenticato. Le mani erano piccole e morbide, completamente lisce e senza cicatrici, così come il resto del suo corpo. Sentiva di star scoprendo man mano un corpo nuovo che non pensava poter essere il suo, ma quando arrivò alle gambe la sorpresa lasciò il posto ad una strana disperazione. Le sue gambe erano lì, entrambe, lunghe e paffute, lisce e senza fili o ingranaggi a muoverle.
È finita.
Il pensiero le attraversò la testa come un fulmine, schiantandosi nel suo subconscio che ancora faticava a credere alla realtà che stava vivendo.
Ma invece che esserne felice, il peso di tutti quegli anni le si abbatté addosso. Il rapimento, l’addestramento, la guerra, le ferite, Kit, Sheeda, tutta la sua squadra, chi era morto e chi era sopravvissuto e soprattutto Heani, la sua Heani che non avrebbe mai saputo che lei era ancora viva.
Le gambe cedettero e colpirono il pavimento piastrellato con un suono sordo, le lacrime scendevano inarrestabili dai suoi occhi, mentre altri ricordi si affollavano nella sua testa, Era tutto finito ed era tornata a casa, alla sua pacifica vita di bambina di sei anni che non dovrebbe sapere nulla di guerre e morti, come poteva un corpo così piccolo e fragile sopportare tutti quei ricordi e quelle emozioni? Voleva urlare, spaccare tutto e scappare lontano, tornare da Heani che conosceva e condivideva il suo passato. Ma non fece nulla, non poteva fare nulla, non le rimaneva nulla. Poteva solo fingere di essere una normale bambina, ma cosa ne sapeva lei di come di com’è una normale bambina?
Un bussare stanco interruppe i suoi pensieri, si voltò verso la porta della camera e sentì la voce di un uomo chiamarla «Tesoro, svegliati, è ora di andare a scuola.»
Da un prompt consigliato su Reddit.
They stole you from your world when you were but a young girl, and they forged you into a magical weapon that has been feared across the cosmos. Now that the war is over and you’ve won, they send you back to the moment before they captured you. The skills, PTSD, and memories? Those never fade.